La Formica Zaffiro

  Come posso cominciare a narrarvi delle vicende del piccolo mondo, che saranno il filo conduttore di questo blog? Di storie il piccolo mond...

Conturina


C’era una volta una bellissima e giovane ragazza di nome Conturina, che aveva come matrigna una nobile e ricca signora, padrona di un castello e madre di due brutte figlie.
Principi e cavalieri venivano a castello e tutti avevano occhi solo per Conturina, così che la matrigna, indispettita, le ordinò di tacere in presenza di ospiti, dicendo poi a tutti che era muta e stupida.
Non importava: rimaneva l’unica ammirata.
Le ordinò di star immobile, dicendo che era anche paralitica: anche così era l’unica apprezzata.
Furente la matrigna chiamò una strega che la tramutò in statua di pietra, ma ancora tutti gli occhi erano per lei.
La fece allora portare su un’altissima rupe che domina il Passo di Ombretta, in modo che venisse incastrata nella roccia e lì abbandonata.
Passarono gli anni e nessuno sapeva dove fosse finita Conturina, mentre si sparse voce che si sentiva un canto di donna in cima a quei luoghi abbandonati.
Li sentì un giovane soldato che faceva sentinella sul passo e riuscì a capirne le parole. Lei cantava la propria triste storia.
Egli gridò che si sarebbe arrampicato per liberarla, ma lei gli rivelò che era troppo tardi.
Nei primi 7 anni la liberazione sarebbe stata possibile, ma ormai l’incantesimo era insolubile.
Qualche volta, chi passi per quel deserto di rocce che è la Valle Ombretta ode ancor il mesto canto della povera Conturina.
La canzone è quasi tutta perduta, ma se ne salva ancora una strofa che le donne lavorando nei campi hanno sentito e imparato.

"Son de sass e no me meve,
son de crepa en Marmoleda,
son na fìa arbandoneda
 e no sé per che resòn."

(Sono di sasso e non mi muovo, sono fatta di crepe sulla Marmolada, sono una figlia abbandonata e non so per quale ragione)

Il pastore


C’era una volta Sul Monte Cristallo uno splendido castello reale in cui viveva una bellissima principessa, la cui mano era stata già chiesta da molti principi e ricchi signorotti.
Ma tutti erano ritornati a casa umiliati, non essendo fino ad allora stati capaci di superare la prova che la principessa imponeva ai suoi pretendenti.
Essa sarebbe infatti andata in moglie, portando in dote tutto il suo regno, a chi fosse riuscito a raccontare una storia che parlava di lei, che però lei non conosceva e che inoltre fosse anche verosimile.
Tutti i pretendenti avevano fino ad allora fallito la prova.
Un giorno la principessa udì uno dei suoi cortigiani cantare una canzone che le piacque molto.
Allora lo fece chiamare a sé e gli chiese dove avesse sentito quella canzone.
Il cortigiano rispose di averla sentita da un pastore che era solito portare le sue pecore al pascolo sulle pendici del monte.
Il pastore si chiamava Bertoldo ed aveva visto una volta la principessa raccogliere i fiori, innamorandosi di quella visione celestiale.
Il pastore cominciò da quel giorno a scrivere canzoni e poesie ispirate e dedicate alla sua dolce ossessione.
La principessa, incuriosita, cominciò a chiedere del pastore, scoprendo che anche Bertoldo un giorno andò al castello per chiedere la mano della principessa, ma non gli fu permesso nemmeno di entrare perché un pastore non poteva essere degno di presentarsi al cospetto di un nobile, e tanto meno dinanzi a colei che era destinata ad essere la regina.
La principessa esplose in un’ira profonda intimando ai suoi servitori di portarle il pastore.
Doveva essere lei e solo lei a decidere chi doveva avere la sua mano.
Immaginatevi la sorpresa del pastore vedendosi arrivare presso la sua povera dimora il drappello reale che portava la notizia che la principessa voleva vederlo subito.
Quando fu al cospetto della principessa Bertoldo si prostrò in un profondo inchino e con un sorriso di felicità esordì così:-"La storia che intendo narrare risale a molto tempo fa, quando risiedevamo nell'isola felice, il luogo in cui vivevamo nella gioia prima di arrivare sulla terra.
Lì ciascuno di noi aveva un suo compito.
Voi, bella principessa, eravate una regina, stimata da tutti i vostri sudditi per la Vostra bontà e giustizia, amata soprattutto per i Vostri meravigliosi occhi turchini, al cui sguardo ciascuno si sentiva rallegrato.
Io invece ero un pastore e passavo tutti i giorni sotto alla Vostra finestra suonando per Voi un gaio stornello.
Per me questo momento era il più bello della giornata.
Un giorno però venne un angelo ed annunciò che noi tutti dovevamo cominciare la nostra vita terrestre.
Egli si informò con la massima precisione su come ciascuno avesse svolto il compito che gli era stato assegnato e si rese conto che quasi nessuno aveva fatto il suo dovere, ad eccezione di Voi, mia principessa e di me.
L'angelo ci lodò molto e ci permise di esprimere un desiderio ciascuno, che si sarebbe realizzato in seguito sulla terra.
Io ero seduto accanto a Voi e guardavo i Vostri splendidi occhi azzurri e non potei fare a meno di desiderare che conservaste questi occhi anche sulla terra.
E Voi principessa a Vostra volta chiedeste che il mio più grande desiderio fosse esaudito sulla terra.
Vedete principessa,concluse Bertoldo, il mio desiderio è stato esaudito, ma non sono sicuro che l'angelo abbia ascoltato la Vostra preghiera e voglia soddisfare il mio più grande desiderio."
La principessa sorrise e stese la propria mano al raggiante Bertoldo, come per donargli sé stessa e il suo regno, dato che aveva brillantemente superato la prova.
Il nome Bertoldo è rimasto da allora strettamente legato al Monte Cristallo, infatti gli abitanti di Ampezzo lo chiamano tuttora "Croda de Bertoldo" (massiccio di Bertoldo)

Palabione

Molti anni fa viveva in Aprica una ragazza di nome Palabione, molto bella e di famiglia ricca.
Secondo consuetudine, il padre, visto che la fanciulla non si decideva maritarsi, andò alla ricerca di uno sposo per lei.
Avrebbe dovuto essere, prima di tutto, un marito molto ricco, poiché il genitore non aveva alcuna intenzione di concedere la propria figlia a una persona che considerava di rango inferiore.
Ma, all'insaputa del padre, la giovane custodiva gelosamente un segreto.
Amante della natura, si era recata spesso sulle pendici della montagna che domina Aprica per ammirare la bellezza del paesaggio, per osservare gli animali e i fiori.
In quel luogo sovente ebbe modo di incontrare un giovane pastore che vi abitava. Poco a poco i due avevano stretto amicizia.
Come spesso accade, si erano innamorati.
Quando il padre comunicò a Palabione che le avrebbe cercato un marito, la ragazza non ebbe il coraggio di confessargli che amava il pastorello, sperando in cuor suo che, alla fine, tutto si sarebbe sistemato.
Il tempo passò, finché un giorno Palabione seppe che il padre aveva combinato le nozze con un ricchissimo commerciante della zona.
La giovane era sempre più disperata e pensava in continuazione al suo innamorato, confinato sulla montagna e che, forse, non avrebbe più rivisto.
Dopo qualche giorno il padre le comunicò ufficialmente il nome dello sposo.
La frittata era fatta. Palabione era cosi affranta che non ebbe il coraggio di ribellarsi.
Acconsentì alle nozze per non contrariare il genitore.
La giovane non sapeva come fare per districarsi da questa brutta situazione.
Il tempo passava e la data delle nozze si avvicinava.
Fu proprio alla vigilia delle nozze che la ragazza prese una drastica decisione.
Una notte abbandonò in gran segreto la casa paterna e si diresse sulla montagna verso i luoghi in cui era stata felice con il suo amato.
Giuntavi lo cercò, ma non lo trovò. Cominciò a piangere disperata.
Pianse così forte e a lungo che le lacrime a poco a poco divennero un ruscello e riempirono una grossa buca, formando un laghetto alpino ai piedi della montagna.
Tanto pianto e tanta disperazione dovevano pure trovare conforto.
Come per incanto, al mattino la bella Palabione vide apparire il giovane pastore.
Le si avvicinò sorridente, la sollevò tra le sue braccia e la portò verso le nevi della montagna, ove entrambi scomparvero.
Il padre fece cercare a lungo la figlia, invano.
Dei due giovani non si trovò più traccia.
Ma la gente del posto vide che nel luogo frequentato dalla giovane era nato un bellissimo lago alpino.
Per volere dei valligiani il lago e la montagna, testimoni del dolore della fanciulla, vennero chiamati Palabione.

Misurina


Misurina era l’unica figlia dell’anziano re Sorapiss che governava le terre comprese fra le Tofane, l’Antelao, le Marmarole e le Tre cime di Lavaredo.
La bimba, tanto capricciosa e dispettosa quanto graziosa, era l'unica ragione di vita del re Sorapiss, il quale, rimasto vedovo, attribuiva l'impertinenza della figlioletta alla mancanza della mamma e pertanto era sempre pronto a scusarla e giustificarla.
All'età di sette o otto anni, Misurina venne a conoscenza dell'esistenza di una fata, che viveva sul monte Cristallo, che possedeva uno specchio magico, il quale dava il potere di leggere i pensieri di chiunque vi si specchiasse.
Misurina supplicò lungamente il padre affinché le procurasse lo specchio magico, che desiderava ad ogni costo, finché Sorapiss cedette e l'accompagnò. La fata resistette a lungo, perché non voleva accontentare quella bimba capricciosa ma, di fronte alle lacrime di Sorapiss, finì per acconsentire, ponendo però una condizione durissima, nella speranza che il re e sua figlia rinunciassero.
La fata possedeva infatti un bellissimo giardino ricco di fiori stupendi sul monte Cristallo, ma l'eccesso di sole li appassiva prematuramente.
Sicché richiese, in cambio dello specchio, che Sorapiss accettasse di essere trasformato in una montagna, che proteggesse con la sua ombra il giardino della fata.
Quando Misurina, al settimo cielo, ricevette lo specchio da Sorapiss e venne informata del patto, non si scompose, anzi: si mostrò entusiasta all'idea che suo padre, per renderla felice, diventasse una montagna, sulla quale lei avrebbe potuto correre e giocare.
In quello stesso istante, mentre Misurina contemplava lo specchio, Sorapiss cominciò la sua trasformazione, gonfiandosi e cambiando colore: i suoi capelli divennero alberi e le sue rughe crepacci.
Misurina si accorse improvvisamente di trovarsi in alto, sulla montagna che era stata suo padre e, rivolgendo lo sguardo in basso, fu colta da un capogiro e precipitò nel vuoto.
Sorapiss, ai suoi ultimi istanti di vita, dovette assistere impotente alla tragica fine della sua bambina, sicché dai suoi occhi ancora aperti sgorgarono così tante lacrime da formare due ruscelli, i quali si raccolsero a valle formando un immenso lago, che prese il nome appunto di Misurina.
Lo specchio, cadendo, si infranse tra le rocce e i suoi frammenti furono trascinati a valle dai ruscelli di lacrime di Sorapiss, dove ancora oggi danno riflessi multicolori, come i pensieri di chi contempla il lago di Misurina.

Tovel



Il lago di Tovel che fa parte del Parco Naturale Adamello-Brenta, fino a metà degli anni ‘60 nei mesi estivi diveniva completamente rosso a causa di un’alga che proliferava (nome scientifico Tovellia sanguinea) nel lago e che gli dava un colore molto simile al sangue.
La scomparsa del fenomeno, secondo recenti studi, potrebbe essere data dal fatto che la zona perdette il passaggio delle mandrie di bovini che pascolavano in zona prima di salire sull’alpeggio, le cui deiezioni avevano l’effetto di concimare in maniera indiretta l’alga.
Il lago di Tovel, comunque, rimane un posto incantato e meraviglioso ideale per una passeggiata o una ‘biciclettata’ nella pace della natura.
Su questo luogo, in tempi passati si narrava una bellissima e tragica legenda, che cercava di spiegare lo strano fenomeno dell’arrossamento : la leggenda della principessa Tresenga.
Tresenga era la figlia dell’ultimo re di Ragoli ed era dotata di una bellezza straordinaria, tanto che la sua mano era ambita da molti pretendenti che Lei regolarmente rifiutava.
Fra questi pretendenti vi era Lavinto, re di Tuenno.
Nonostante la corte serrata, i regali munifici (tutti regolarmente rispediti al mittente), le serenate e le poesie Tresenga non voleva assolutamente saperne di Lavinto.
In realtà Lavinto oltre ad essere realmente pazzo d’amore aveva il desiderio di riunire il regno di Ragoli con quello di Tuenno.
Decise, quindi, dopo l’ultimo rifiuto di Tresenga di muovere guerra contro Ragoli.
Erano i primi giorni d’estate e la battaglia finale avvenne sulle rive del lago di Tovel dove l’esercito di Ragoli venne pesantemente sconfitto, nonostante l’intervento a supporto di quest’ultimo dei paesani.
Fu una strage, ma la principessa Tresenga rifiutò lo stesso con forza le nozze con Lavinto il quale la uccise trafiggendola con la spada.
Alla fine della giornata il lago era rosso per il sangue dei morti.
Da allora il lago ogni estate diviene rosso.
È il modo delle fate del bosco per ricordare il sacrificio della gente della valle e della bellissima principessa Tresenga.

Il Basilisco


Sulla montagna che sovrasta Mezzocorona (è un paese in provincia di Trento, all'inizio della valle di Non)  si ergeva una grande caverna.
All'interno di questa, in epoca medievale, fu costruito il castello denominato corona di san Gottardo.
Un giorno i ruderi di questo castello accolsero un basilisco che vi trovò rifugio dalle intemperie.
Questo animale era simile ad un enorme serpente, alato, con il corpo completamente ricoperto di scaglie ossee che lo rendevano invulnerabile.
Atterrò sul piano della caverna schiacciando con il suo enorme peso rose selvatiche, ciclamini ed erica e il puzzo che emanava fece fuggire dalla caverna persino i pipistrelli che vi dormivano.
La creatura si addormentò profondamente e il giorno dopo si svegliò così affamato, che avrebbe mangiato qualsiasi cosa.
Spiegò le ali e volò sulle campagne della Piana Rotaliana.
Vide un succulento contadino seduto sul suo carretto trainato da due buoi.
Subito gli fu addosso e se lo divorò, carro e buoi compresi.
Continuò a volare e a ingoiare tutto ciò che incontrava e, nel contempo, a danneggiare tutto ciò che toccava: case, fienili, coltivazioni.
Infine, sfinito da quel volo e dal lauto pasto, ritornò alla caverna e sprofondò nel sonno.
Gli abitanti di Mezzocorona erano terrorizzati dalla bestia.
L’unico modo per salvare se stessi e il paese era uccidere il drago.
Ma come? Alcuni, presi dal panico, dicevano che rimaneva solo di abbandonare il paese.
Ma all'improvviso, come in tutte le leggende che si rispettino, arrivò l’eroe.
Il conte Firmian sfoderò la sua spada e urlò: “Calmatevi, solo i codardi si arrendono prima di affrontare il pericolo! Fidatevi di me.
Affronterò io il basilisco e se vincerò ognuno potrà riprendere la vita di sempre, altrimenti morirò ma voi potrete ancora fuggire!Rimanete nascosti nelle vostre cantine ancora per un po’.”
Gli abitanti si guardarono dubbiosi, ma in fondo non avevano più nulla da perdere e decisero di accettare.
Ritornato nel suo palazzo, il conte Firmian indossò la corazza, prese la sua spada e si fece portare uno specchio e un secchio di latte.
Si avviò verso il monte del basilisco e i paesani si stupirono degli strani oggetti che il conte portava con sé.
Ma loro non sapevano che spesso l’astuzia ha la meglio sulla forza e che il coraggio può vincere la sfortuna!
Avanzò quatto senza farsi vedere e infine arrivò ai piedi del monte.
Cominciò ad arrampicarsi verso la caverna del san Gottardo. Arrivò alla caverna e trovò il drago che dormiva russando.
Era ormai buio e il conte mise il secchio di latte all’entrata della grotta, poco lontano lo specchio e si mise in attesa.
Arrivò il giorno e il basilisco si svegliò più affamato che mai.
Quando il conte lo vide in tutta la sua grandezza ebbe paura. Ma raccolse tutto il coraggio che aveva in cuore e rimase pronto ad agire.
Il drago si accorse subito del secchio di latte e iniziò a berlo con gusto.
Poi alzò la testa e fu allora che vide... un altro drago! Identico a se stesso, in tutto e per tutto.
Non era più solo! Felice iniziò a fischiare, a muoversi, scuotersi, girare.
L'altro eseguiva esattamente tutte le mosse che lui proponeva.
Il conte approfittò quindi del momento di distrazione della bestia, balzò fuori dal suo nascondiglio e, con tutta la forza che aveva in corpo, conficcò la sua spada nel ventre, il solo punto vulnerabile del mostro.
La bestia cadde a terra, morta. L'astuzia e il coraggio del conte avevano avuto la meglio sulla forza bruta del basilisco.
Pieno di entusiasmo, Firmian urlò dalla montagna: “Venite gente, il basilisco è morto!” I contadini increduli ma speranzosi cominciarono ad arrampicarsi sul monte.
Il conte, orgoglioso, volle staccare la testa del drago e sollevarlo, facendo leva sulla sua spada, per mostrarlo ai suoi sudditi.
Ma una goccia di veleno cadde dal drago ed entrò nella corazza del conte che cominciò a bruciare.
I primi contadini che arrivarono in cima alla montagna, trovarono un basilisco morto e un’armatura vuota con un mucchio di cenere.

I monti Pallidi


Probabilmente se andate nello stupenda Canazei, paese dell’alta Val di Fassa, sentirete parlare dei Monti Pallidi e dell’antico regno delle Dolomiti.
Il regno delle Dolomiti era un meraviglioso regno, i prati erano sempre fioriti, i boschi erano fitti e lussureggianti colorati di un forte verde che incantava.
Laghi e fiumi abbondavano e le rocce delle montagne avevano lo stesso colore delle vicine Alpi.
Tutto intorno regnava felicità, allegria e armonia.
Ma non tutti gli abitanti del regno delle Dolomiti erano felici si narra,infatti, che il principe di queste terre aveva sposato la principessa della luna.
Ma i due dovevano vivere sempre separati, e questa solitudine rendeva il futuro re infelice e cupo.
Non parlava con nessuno e non faceva mai festa.
Il re non poteva sopportare la forte luce che emanava la luna, lo avrebbe, infatti, reso cieco.
Alla principessa della luna non piacevano le grigie montagne, e gli ombrosi boschi le mettevano una malinconia talmente forte che la facevano gravemente ammalare.
Al principe piaceva camminare nei boschi del suo regno e fu così, che un giorno nel suo girovagare incontrò uno strano personaggio: il re dei Salvani.
Era un piccolo e simpatico nano alla disperata ricerca di una terra per il suo popolo, ed anche lui adorava quei luoghi e quei boschi.
I due si misero a parlare e si trovarono a vicenda molto simpatici.
Fu così che il principe raccontò la sua triste storia al re degli degli Salvani che propose al principe un patto : in cambio del permesso di abitare con il suo popolo i boschi del regno delle Dolomiti promise di renderne lucenti le montagne, in modo da rendere felice la sua adorata principessa.
Il principe accettò entusiasta ed i nani tessero per un’intera notte la luce della luna.
Con il manto, così costruito, ricoprirono tutte le rocce del regno.
La principessa poté così tornare sulla terra dal suo sposo.
I due vissero la loro vita felici e contenti e le Dolomiti presero il nome di ‘Monti Pallidi’.
Il fenomeno che dona alle Dolomiti l’affascinante colore rosa pallido si chiama ‘Erosadira’.

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“Le favole dove stanno?
Ce n’è una in ogni cosa:
nel legno del tavolino,
nel bicchiere, nella rosa.”

Gianni Rodari  


Questo è il luogo dove la fantasia e il sogno si incontrano dando vita a racconti, leggende e favole.
È una piccola e accogliente isola nel mare d'Internet abitata da personaggi magici e fantastici che daranno vita a storie uniche e coinvolgenti.
Vi narrerò di fate, folletti, draghi, cavalieri, principesse, animali fantastici e ...’chi più ne ha più ne metta’…  recuperando le più belle leggende provenienti dai luoghi e dalle tradizioni più affascinanti e suggestive della nostra penisola e, in generale, da tutto il mondo.
Troverete anche, con il tempo, racconti inediti e curiosi che vi trasporteranno, per qualche attimo, con la mente e con il cuore fuori dalle vostre vicende quotidiane.
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